giovedì 2 gennaio 2014

Non tutti i grassi sono dannosi - discordanza evoluzionistica - alimentazione 05











In passato le raccomandazioni alimentari, tendevano ad orientarsi maggiormente verso una dieta povera di grassi e proteine, ricca invece di carboidrati, senza fare alcuna distinzione tra grassi buoni e cattivi.
Una dieta a basso tenore di grassi (< 30%) è ancora considerata da molti fisiologi un approccio salutare per la prevenzione delle malattie cardiovascolari.
Tuttavia  questo tipo di dieta può portare ad un consumo eccessivo di carboidrati, che aumenta il livello di trigliceridi e diminuisce il colesterolo HDL, intensificando le condizioni patologiche tipiche della sindrome metabolica ([i]).
Le nuove ricerche non solo hanno permesso di capire che non tutti i grassi sono nocivi, ma che alcuni di essi svolgono addirittura un’azione protettiva, pertanto non è tanto importante la quantità, ma la distinzione in grassi buoni e grassi cattivi (Fig.13).

La dieta tipica dei paesi industrializzati risulta essere troppo ricca di grassi saturi e grassi trans, nonché l’ampio  utilizzo di oli vegetali raffinati ha portato ad uno squilibrio tra i grassi polinsaturi, con gli omega 6 molto più elevati rispetto agli omega3.
I grassi trans portano ad un aumento della proteina C reattiva e di alcuni marcatori di attivazione endoteliale quali selettina E, ICAM-1 e VCAM-1, che sono coinvolti nel processo di infiammazione alla base delle malattie cardiovascolari ([ii]).









Ø  Grassi monoinsaturi: sono salutari, abbassano i livelli di colesterolo nel sangue e aiutano a prevenire l’arteriosclerosi, si trovano nella frutta secca,nell’olio di oliva e nell' avocado.
Ø  Grassi saturi: un consumo elevato produce effetti dannosi sull’apparato cardiovascolare. Si trovano nei latticini e nelle carni grasse.
Ø  Grassi polinsaturi: sono misti, gli omega 3 (si trovano nei  pesci grassi non allevati,olio di lino, carni di animali selvatici e noci)sono salutari,mentre gli omega 6 (si trovano principalmente negli oli vegetali,prodotti da forno e merendine industriali)sono dannosi quando se ne assumono troppi rispetto agli omega 3.
Ø  Grassi trans: sono estremamente dannosi, fanno aumentare il colesterolo nel sangue e la possibilità di disturbi cardiovascolari. Si trovano nella margarina, nel burro di arachidi, nei grassi da pasticceria e in alcune merendine.





Figura 13- I diversi tipi di grassi










Anche i grassi saturi pure se in modo meno determinante aumentano il rischio cardiovascolare e il colesterolo LDL.
È stato stimato che nella dieta paleolitica africana, i primitivi assumevano il 30-39% delle calorie sottoforma di grassi ([iii]).
Più precisamente, la composizione lipidica era da moderata ad elevata in acidi grassi monoinsaturi (5,6-18,5 %) e polinsaturi (8,6-15,2%), e relativamente elevata in grassi saturi (11,4-12%).




Un aspetto interessante, è che anche se i grassi saturi erano più elevati delle attuali raccomandazioni (≤10%), questo non era correlato con patologie cardiache.
Paradossalmente infatti,  alcune popolazioni che traevano sostentamento principalmente da alimenti animali, presentavano comunque bassi livelli di colesterolo LDL e trigliceridi, nonché una bassa incidenza di malattie coronariche ([iv]).
Probabilmente questo era dovuto a fattori protettivi tipici delle diete del paleolitico quali: l’effetto ipolipemizzante delle proteine, il profilo qualitativo lipidico, la restrizione e la qualità dei carboidrati, l’elevata assunzione di vitamine minerali e antiossidanti e l’esclusione del sale.

Un altro aspetto interessante, è che i grassi polinsaturi non sono tutti uguali dal punto degli effetti sulla salute.
Le raccomandazioni post anni ‘50, di ridurre il consumo di grassi saturi e di sostituirli con altri alimenti, ha portato alla massiccia introduzione nella catena alimentare umana di altri tipi di grassi come  gli oli vegetali raffinati (es. olio di semi di girasole, di mais, di soia e di cartamo) e i grassi trans.
Successivamente, il consumo degli oli vegetali raffinati si è progressivamente diffuso e a partire dagli anni ‘80 è aumentato di oltre il 400%. Questi oli contengono un acido grasso polinsaturo omega 6 in elevate quantità (50-75%), l’acido linoleico.
L’acido linoleico, viene convertito in acido arachidonico in una via metabolica coadiuvata dall’insulina  e l’acido arachidonico svolge un’azione proinfiammatoria ([v]).





Inoltre, l’acido linoleico induce l’attivazione di NFkB, che porta alla produzione di citochine proinfiammatorie quali  IL-6 e TNF alfa, in vitro ([vi]).
A tale riguardo, un recente studio ha rilevato che la riduzione del rischio cardiovascolare, era possibile solo quando i grassi saturi e i grassi trans erano rimpiazzati dall’assunzione di omega 6 in combinazione con gli omega 3, mentre invece la sola assunzione di omega 6 determinava invece un aumento del rischio ([vii]).

Nella dieta ancestrale, (modello est-Africa), è stato stimato che l’assunzione di grassi polinsaturi  era compresa tra l’8,6% e il 15,2% dell’energia totale, dove il 3,7-4,7% era dato dall’acido alfa linolenico (ALA) che è un omega 3, e il 2,3-3,6% era dato dall’acido linoleico (LA) che è un omega 6, con un rapporto ALA/LA compreso tra  1.12 e 1.64 g/g.    .
Inoltre, l’assunzione di acidi grassi polinsaturi a lunga catena (LCP) era elevata, dove il rapporto LCP omega 3/LCP omega 6 era compreso tra 0.84 e 1,92 g/g.
Pertanto in una visione globale, la specie umana potrebbe essersi evoluta in condizioni nutrizionali in cui l’apporto di omega 3 era pressoché uguale o leggermente superiore rispetto agli omega 6. 
Al contrario, vi è una notevole discrepanza con l’attuale dieta occidentale, dove il rapporto ALA/LA corrisponde a solo 0.09. Inoltre, anche se il rapporto LCP omega3/LCP omega 6, risulta essere simile al modello paleolitico, l’assunzione assoluta di LCP risulta essere notevolmente inferiore ([viii]).
Tutto questo si traduce in una notevole prevalenza degli omega 6 sugli omega 3 principalmente a causa dell’ampio utilizzo degli oli vegetali raffinati e della ridotta assunzione complessiva degli omega 3.

Alla luce di questi dati, le precedenti raccomandazioni di sostituire i grassi saturi con gli oli vegetali devono essere rivisitate, fatta eccezione per l’olio di lino (che contiene omega3 in quantità piuttosto elevate) e l’ olio di oliva, che contiene in gran parte un acido grasso monoinsaturo molto salutare; l’acido oleico.
Al contrario l’assunzione degli omega 3  vista la loro validità nella prevenzione cardiovascolare è fortemente raccomandata.
Infatti il consumo di omega 3 induce miglioramenti per quanto riguarda:

·         La pressione arteriosa
·         Il profilo dei trigliceridi
·         La riduzione dell’infiammazione
·         La funzione endoteliale
·         La riduzione di trombosi e aritmie ([ix]).

Anche i grassi monoinsaturi sono particolarmente salutari.
Una dieta ricca in grassi monoinsaturi, riduce il rischio di malattie cardiovascolari e obesità ([x]), aumenta la sensibilità all’insulina, ed  in particolare all’assunzione di olio di oliva è stato associato  un corrispondente aumento del colesterolo HDL e di GLP-1,  in soggetti insulino-resistenti ([xi]).
La frutta secca, particolarmente le noci, oltre ai grassi monoinsaturi contengono anche altre sostanze benefiche, quali i fitochimici, a cui sono state associate azioni antiossidanti, antiinfiammatorie, ipolipemizzanti, chemiopreventive, anti proliferative e antivirali ([xii]).
Inoltre le noci hanno un contenuto relativamente alto di arginina, il cui consumo è associato ad una diminuzione della proteina C reattiva, che è  un importante marcatore dell’infiammazione ([xiii]).



BIBLIOGRAFIA


([i]) Dario Giugliano et al.,  The Effects of Diet on Inflammation Emphasis on the Metabolic Syndrome, Journal of the American College of Cardiology Vol. 48, No. 4, 2006, pag 677


([ii]) Dario Giugliano et al.,  The Effects of Diet on Inflammation Emphasis on the Metabolic Syndrome, Journal of the American College of Cardiology Vol. 48, No. 4, 2006, pag 678-679


([iii]) R. S. Kuipers et al., Estimated macronutrient and fatty acid intakes from an East African Paleolithic diet, British Journal of Nutrition 2010, p. 18


([iv]) L Cordain et al., The paradoxical nature of hunter-gatherer diets: meat-based, yet non-atherogenic, European Journal of Clinical Nutrition (2002) 56, Suppl 1, pag 46


([v]) Barry Sears and Camillo Ricordi, Anti-Inflammatory Nutrition as a Pharmacological Approach to Treat Obesity, Journal of Obesity 2011, p.3


([vi]) Calder PC. The 2008 ESPEN Sir David Cuthbertson Lecture. Fatty acids and inflammation: from the membrane to the nucleus and from the laboratory bench to the clinic. Clin Nutr. 2010;29(1):5–12.

([vii]) Ramsden CE, Hibbeln JR, Majchrzak SF, Davis JM. “n-6 fatty acid-specific and mixed polyunsaturate dietary interventions have different effects on CHD risk: a meta-analysis of randomised controlled trials”. Br J Nutr. 2010 Dec;104(11):1586-600.


([viii]) R. S. Kuipers et al. Estimated macronutrient and fatty acid intakes from an East African Paleolithic diet, British Journal of Nutrition 2010, p.12-18


([ix]) Dariush Mozaffarian et al., Omega-3 Fatty Acids and Cardiovascular Disease Effects on Risk Factors, Molecular Pathways, and Clinical Events, Journal of the American College of Cardiology, Vol. 58, No. 20, 2011 pag 2047-2061


([x]) L. Schwingshackl B. Strasser G. Hoffmann, Effects of Monounsaturated Fatty Acids on Cardiovascular Risk Factors: A Systematic Review and Meta-Analysis, Ann Nutr Metab 2011, pag  183-184


([xi]) Juan A. Paniagua et al., A MUFA-Rich Diet Improves Posprandial Glucose, Lipid and GLP-1 Responses in Insulin-Resistant Subjects, Journal of the American College of Nutrition, 2007, Vol. 26, No. 5, pag  434–444


([xii]) Bolling BW, Chen CY, McKay DL, Blumberg JB, Tree nut phytochemicals: composition, antioxidant capacity, bioactivity, impact factors. A systematic review of almonds, Brazils, cashews, hazelnuts, macadamias, pecans, pine nuts, pistachios and walnuts. Nutr Res Rev. 2011 Dec 12:1-32


([xiii]) Dario Giugliano et al.,  The Effects of Diet on Inflammation Emphasis on the Metabolic Syndrome, Journal of the American College of Cardiology Vol. 48, No. 4, 2006, pag 680


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