In passato le raccomandazioni alimentari, tendevano ad orientarsi maggiormente
verso una dieta povera di grassi e proteine, ricca invece di carboidrati, senza
fare alcuna distinzione tra grassi buoni e cattivi.
Una dieta a
basso tenore di grassi (< 30%) è ancora considerata da molti fisiologi un
approccio salutare per la prevenzione delle malattie cardiovascolari.
Tuttavia questo tipo di dieta può portare ad un
consumo eccessivo di carboidrati, che aumenta il livello di trigliceridi e
diminuisce il colesterolo HDL, intensificando le condizioni patologiche tipiche
della sindrome metabolica ([i]).
Le nuove
ricerche non solo hanno permesso di capire che non tutti i grassi sono nocivi,
ma che alcuni di essi svolgono addirittura un’azione protettiva, pertanto non è
tanto importante la quantità, ma la distinzione in grassi buoni e grassi
cattivi (Fig.13).
La dieta
tipica dei paesi industrializzati risulta essere troppo ricca di grassi saturi
e grassi trans, nonché l’ampio utilizzo
di oli vegetali raffinati ha portato ad uno squilibrio tra i grassi polinsaturi,
con gli omega 6 molto più elevati rispetto agli omega3.
I grassi trans
portano ad un aumento della proteina C reattiva e di alcuni marcatori di
attivazione endoteliale quali selettina E, ICAM-1 e VCAM-1, che sono coinvolti
nel processo di infiammazione alla base delle malattie cardiovascolari ([ii]).
Ø Grassi monoinsaturi: sono salutari,
abbassano i livelli di colesterolo nel sangue e aiutano a prevenire
l’arteriosclerosi, si trovano nella frutta secca,nell’olio di oliva e nell'
avocado.
Ø Grassi saturi: un consumo elevato
produce effetti dannosi sull’apparato cardiovascolare. Si trovano nei latticini
e nelle carni grasse.
Ø Grassi polinsaturi: sono misti, gli
omega 3 (si trovano nei pesci grassi non
allevati,olio di lino, carni di animali selvatici e noci)sono salutari,mentre
gli omega 6 (si trovano principalmente negli oli vegetali,prodotti da forno e
merendine industriali)sono dannosi quando se ne assumono troppi rispetto agli
omega 3.
Ø Grassi trans: sono estremamente
dannosi, fanno aumentare il colesterolo nel sangue e la possibilità di disturbi
cardiovascolari. Si trovano nella margarina, nel burro di arachidi, nei grassi
da pasticceria e in alcune merendine.
Figura 13- I diversi tipi di grassi
Anche i grassi
saturi pure se in modo meno determinante aumentano il rischio cardiovascolare e
il colesterolo LDL.
È stato
stimato che nella dieta paleolitica africana, i primitivi assumevano il 30-39%
delle calorie sottoforma di grassi ([iii]).
Più
precisamente, la composizione lipidica era da moderata ad elevata in acidi
grassi monoinsaturi (5,6-18,5 %) e polinsaturi (8,6-15,2%), e relativamente
elevata in grassi saturi (11,4-12%).
Un aspetto
interessante, è che anche se i grassi saturi erano più elevati delle attuali
raccomandazioni (≤10%), questo non era correlato con patologie cardiache.
Paradossalmente
infatti, alcune popolazioni che traevano
sostentamento principalmente da alimenti animali, presentavano comunque bassi
livelli di colesterolo LDL e trigliceridi, nonché una bassa incidenza di
malattie coronariche ([iv]).
Probabilmente
questo era dovuto a fattori protettivi tipici delle diete del paleolitico
quali: l’effetto ipolipemizzante delle proteine, il profilo qualitativo
lipidico, la restrizione e la qualità dei carboidrati, l’elevata assunzione di
vitamine minerali e antiossidanti e l’esclusione del sale.
Un altro
aspetto interessante, è che i grassi polinsaturi non sono tutti uguali dal
punto degli effetti sulla salute.
Le
raccomandazioni post anni ‘50, di ridurre il consumo di grassi saturi e di
sostituirli con altri alimenti, ha portato alla massiccia introduzione nella
catena alimentare umana di altri tipi di grassi come gli oli vegetali raffinati (es. olio di semi
di girasole, di mais, di soia e di cartamo) e i grassi trans.
Successivamente,
il consumo degli oli vegetali raffinati si è progressivamente diffuso e a
partire dagli anni ‘80 è aumentato di oltre il 400%. Questi oli contengono un
acido grasso polinsaturo omega 6
in elevate quantità (50-75%), l’acido linoleico.
L’acido
linoleico, viene convertito in acido arachidonico in una via metabolica
coadiuvata dall’insulina e l’acido
arachidonico svolge un’azione proinfiammatoria ([v]).
Inoltre,
l’acido linoleico induce l’attivazione di NFkB, che porta alla produzione di
citochine proinfiammatorie quali IL-6 e
TNF alfa, in vitro ([vi]).
A tale
riguardo, un recente studio ha rilevato che la riduzione del rischio
cardiovascolare, era possibile solo quando i grassi saturi e i grassi trans
erano rimpiazzati dall’assunzione di omega 6 in combinazione con gli omega 3, mentre
invece la sola assunzione di omega 6 determinava invece un aumento del rischio
([vii]).
Nella dieta ancestrale,
(modello est-Africa), è stato stimato che l’assunzione di grassi
polinsaturi era compresa tra l’8,6% e il
15,2% dell’energia totale, dove il 3,7-4,7% era dato dall’acido alfa linolenico
(ALA) che è un omega 3, e il 2,3-3,6% era dato dall’acido linoleico (LA) che è
un omega 6, con un rapporto ALA/LA compreso tra
1.12 e 1.64 g/g. .
Inoltre,
l’assunzione di acidi grassi polinsaturi a lunga catena (LCP) era elevata, dove
il rapporto LCP omega 3/LCP omega 6 era compreso tra 0.84 e 1,92 g/g.
Pertanto in
una visione globale, la specie umana potrebbe essersi evoluta in condizioni
nutrizionali in cui l’apporto di omega 3 era pressoché uguale o leggermente
superiore rispetto agli omega 6.
Al contrario,
vi è una notevole discrepanza con l’attuale dieta occidentale, dove il rapporto
ALA/LA corrisponde a solo 0.09. Inoltre, anche se il rapporto LCP omega3/LCP
omega 6, risulta essere simile al modello paleolitico, l’assunzione assoluta di
LCP risulta essere notevolmente inferiore ([viii]).
Tutto questo
si traduce in una notevole prevalenza degli omega 6 sugli omega 3
principalmente a causa dell’ampio utilizzo degli oli vegetali raffinati e della
ridotta assunzione complessiva degli omega 3.
Alla luce di
questi dati, le precedenti raccomandazioni di sostituire i grassi saturi con
gli oli vegetali devono essere rivisitate, fatta eccezione per l’olio di lino
(che contiene omega3 in quantità piuttosto elevate) e l’ olio di oliva, che contiene
in gran parte un acido grasso monoinsaturo molto salutare; l’acido oleico.
Al contrario
l’assunzione degli omega 3 vista la loro
validità nella prevenzione cardiovascolare è fortemente raccomandata.
Infatti il
consumo di omega 3 induce miglioramenti per quanto riguarda:
·
La pressione arteriosa
·
Il profilo dei trigliceridi
·
La riduzione dell’infiammazione
·
La funzione endoteliale
·
La riduzione di trombosi e aritmie ([ix]).
Anche i grassi
monoinsaturi sono particolarmente salutari.
Una dieta
ricca in grassi monoinsaturi, riduce il rischio di malattie cardiovascolari e
obesità ([x]), aumenta la sensibilità all’insulina,
ed in particolare all’assunzione di olio
di oliva è stato associato un
corrispondente aumento del colesterolo HDL e di GLP-1, in soggetti insulino-resistenti ([xi]).
La frutta
secca, particolarmente le noci, oltre ai grassi monoinsaturi contengono anche
altre sostanze benefiche, quali i fitochimici, a cui sono state associate
azioni antiossidanti, antiinfiammatorie, ipolipemizzanti, chemiopreventive,
anti proliferative e antivirali ([xii]).
Inoltre le
noci hanno un contenuto relativamente alto di arginina, il cui consumo è
associato ad una diminuzione della proteina C reattiva, che è un importante marcatore dell’infiammazione ([xiii]).
BIBLIOGRAFIA
([i]) Dario Giugliano et al., The Effects of Diet
on Inflammation Emphasis on the Metabolic Syndrome, Journal of the American
College of Cardiology Vol. 48, No. 4, 2006, pag 677
([ii]) Dario Giugliano et al., The Effects of Diet
on Inflammation Emphasis on the Metabolic Syndrome, Journal of the American
College of Cardiology Vol. 48, No. 4, 2006, pag 678-679
([iii]) R. S. Kuipers et al., Estimated macronutrient and fatty acid intakes from an East
African Paleolithic diet, British Journal of Nutrition 2010, p. 18
([iv]) L Cordain et
al., The paradoxical nature of hunter-gatherer diets: meat-based, yet
non-atherogenic, European Journal of Clinical Nutrition (2002) 56, Suppl 1, pag
46
([v]) Barry Sears and Camillo Ricordi,
Anti-Inflammatory Nutrition as a Pharmacological Approach to Treat Obesity,
Journal of Obesity 2011, p.3
([vi]) Calder PC. The 2008 ESPEN Sir David
Cuthbertson Lecture. Fatty acids and inflammation: from the membrane to the
nucleus and from the laboratory bench to the clinic. Clin Nutr.
2010;29(1):5–12.
([vii]) Ramsden CE, Hibbeln JR, Majchrzak SF, Davis
JM. “n-6 fatty acid-specific and mixed polyunsaturate dietary interventions
have different effects on CHD risk: a meta-analysis of randomised controlled
trials”. Br J Nutr. 2010 Dec;104(11):1586-600.
([viii]) R. S. Kuipers et al. Estimated macronutrient and fatty acid intakes from an East
African Paleolithic diet, British Journal of Nutrition 2010, p.12-18
([ix]) Dariush Mozaffarian et al., Omega-3 Fatty Acids and Cardiovascular Disease Effects on
Risk Factors, Molecular Pathways, and Clinical Events, Journal of the American
College of Cardiology, Vol. 58, No. 20, 2011 pag 2047-2061
([x]) L. Schwingshackl B. Strasser G. Hoffmann,
Effects of Monounsaturated Fatty Acids on Cardiovascular Risk Factors: A
Systematic Review and Meta-Analysis, Ann Nutr Metab 2011, pag 183-184
([xi]) Juan A. Paniagua et al., A MUFA-Rich Diet Improves Posprandial Glucose, Lipid and
GLP-1 Responses in Insulin-Resistant Subjects, Journal of the American College
of Nutrition, 2007, Vol. 26, No. 5, pag
434–444
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