Le proteine
svolgono diverse funzioni fondamentali quali funzione plastica, energetica e di
regolazione.
Comunque le
proteine alimentari non sono tutte uguali, il loro valore nutrizionale infatti
si misura in base alla quantità di amminoacidi essenziali di cui sono composte.
In realtà
l’organismo umano è in grado di sintetizzare tutti gli amminoacidi tranne
alcuni, chiamati appunto amminoacidi essenziali, che per questo motivo devono
essere assunti con l’alimentazione.
Dal momento
che il valore nutritivo di una proteina dipende essenzialmente dalla
composizione in amminoacidi, proteine di diversa origine hanno differenti
valori nutritivi.
Pertanto la
questione del valore nutrizionale delle proteine non può prescindere dagli amminoacidi
essenziali, che sono forniti in modo completo, solamente dalle proteine
animali, parlando in termini di singoli alimenti. Ne consegue che esse hanno un valore biologico maggiore di quelle
vegetali.
La quantità
giornaliera di proteine raccomandata per un adulto sedentario è di 0,8 g per kg di peso corporeo
al giorno, che aumentano a 1.4-2
g per kg di peso corporeo al giorno in caso di attività
fisica.
Secondo uno
studio inoltre, le raccomandazioni standard potrebbero non essere sufficienti
per soggetti anziani, che beneficerebbero invece di 1,6 g/kg al giorno di
proteine e attività fisica per prevenire la perdita muscolare ([i]).
Tuttavia nella
dieta pre-agricoltura, la quota proteica era più elevata rispetto a quanto oggi viene raccomandate. Comunque vi sono crescenti evidenze che indicano che
diete con un assunzione proteica al di
sopra delle raccomandazioni, permettono di migliorare il profilo lipidico nel
sangue, la sensibilità all’insulina e sono un potente alleato contro
l’ipertensione, la sindrome metabolica e nella riduzione del peso corporeo ([ii],[iii]).
Uno studio
compiuto su due gruppi di individui con patologie vascolari, in cui erano
nutriti in modo isocalorico rispettivamente con la dieta paleolitica e la dieta
mediterranea, ha rilevato che la dieta paleolitica risulta più saziante della
dieta mediterranea([iv]).L’effetto saziante non è dovuto solo
all’elevata quantità di fibre e alla restrizione dei carboidrati, ma anche alle
proteine, che oltre a determinare un effetto termogenico doppio, sono anche più
sazianti rispetto agli altri alimenti; e questo può diventare un importante
vantaggio in caso di patologie da eccesso alimentare.
Inoltre è stato
dimostrato che diete con un’assunzione di proteine più elevata permettono di
ridurre la concentrazione plasmatica di omocisteina ([v]).
È interessante notare che nell’uomo l’iperomocisteinemia è stata riconosciuta
come un indipendente fattore di rischio cardiovascolare, inoltre è stata
associata all’insulino-resistenza in
vitro ([vi]).
In questo caso
gli alimenti proteici ancestrali riguardavano carne, pesce e uova.
Mangiare carne (principalmente le carni rosse) viene spesso considerato non salutare,
soprattutto dal punto di vista delle malattie cardiovascolari e tumori.
Tuttavia non è
la quantità di carne mangiata ma la composizione e i metodi di cottura a fare
della carne un alimento salutare o meno.
Infatti, non
sono le proteine ad esercitare questi effetti dannosi, bensì l’elevata quantità
e l’alterato profilo lipidico delle carni disponibili oggi, provenienti per la
maggior parte da animali allevati in modo non naturale e nutriti con mangimi e
cerali.
La carne degli
animali selvatici invece contiene livelli di grasso più bassi, con un profilo
lipidico qualitativamente migliore rispetto a quella degli animali allevati.
Questo perché gli animali si nutrivano in modo spontaneo e naturale con quantità elevate di alghe foglie ed erba (contenenti seppur in piccola quantità grassi omega 3), che conferivano alla carne e al pesce un profilo di omega 3 più elevato, soprattutto per gli animali di grossa taglia. Inoltre i grassi saturi negli animali da allevamento sono dalle 2-3 volte maggiori rispetto agli animali selvatici([xvii]).
Questo perché gli animali si nutrivano in modo spontaneo e naturale con quantità elevate di alghe foglie ed erba (contenenti seppur in piccola quantità grassi omega 3), che conferivano alla carne e al pesce un profilo di omega 3 più elevato, soprattutto per gli animali di grossa taglia. Inoltre i grassi saturi negli animali da allevamento sono dalle 2-3 volte maggiori rispetto agli animali selvatici([xvii]).
Paradossalmente
infatti alcune ricerche antropologiche
hanno registrato bassi livelli di trigliceridi, colesterolo sierico, e malattie
cardiovascolari in alcune popolazioni indigene che traevano sostentamento
principalmente da cibi animali ([vii]).
Per quanto
riguarda l’argomento carne e tumori, da studi epidemiologici è stata rilevata
un’associazione tra un consumo più elevato di carne rossa e l’aumento
dell’incidenza di alcuni tipi di tumore ([viii]).
Tuttavia
sembra che tale associazione sia dovuta al metodo di cottura delle carni rosse
e ai conservanti (nitriti e nitrati nelle carni processate) ([ix],[x])
e non alla carne di per sé.
Infatti la
cottura delle carni rosse a temperature elevate produce ammine eterocicliche,
che sono cancerogene.
Per metodi di
cottura ad elevate temperature si intendono per esempio carni fritte e alla
griglia, nonché il grado di doratura che si conferisce all’alimento ([xi]).
Nella
produzione delle carni processate come ad esempio gli insaccati vengono comunemente utilizzati dei
conservanti, tra cui i nitriti che sono cancerogeni.
Senza
escludere i pericoli di possibili eventuali pratiche non a norma messe in atto
da allevatori senza scrupoli alla ricerca esasperata del profitto.
Un altro
aspetto molto discusso dai fisiologi e che necessita ancora di chiarimenti è
l’eventuale effetto dannoso di una dieta
iperproteica su fegato e reni.
Il rene e il
fegato infatti giocano un ruolo centrale nel metabolismo delle proteine.
Ci si chiede
pertanto se, e a quali dosi, è possibile che possano provocare eventuali danni.
Per quanto
riguarda i reni, incrementi dell’assunzione di proteine sembrano non avere
effetti avversi in individui con reni sani ([xii]-[xiii]).
A tale
proposito uno studio ha valutato la funzione renale in 68 soggetti (senza
preesistenti disfunzioni renali) sottoposti ad un programma dietetico per la
riduzione dell’obesità addominale.
Il campione è
stato suddiviso in due gruppi, che hanno seguito rispettivamente due diversi
modelli alimentari con restrizione
calorica; uno a bassissimo contenuto di carboidrati (4% di carboidrati,35% di
proteine e 61% di grassi), l’altro ad un contenuto in carboidrati più elevato
(carboidrati 46%, proteine 24%, grassi
30% dell’energia totale).
In seguito ad
un periodo di 1 anno, sono stati rivalutati i parametri ed è stato concluso
che entrambe le diete non alterano la
funzione renale a lungo termine in soggetti senza preesistenti disfunzioni ([xiv]).
Al contrario
in soggetti in cui la funzionalità renale è compromessa, come ad esempio la
nefropatia diabetica, l’assunzione di proteine è un fattore che può
influenzare il deterioramento del rene, per cui limitarne l'apporto in questo
caso può contribuire a rallentare l’insufficienza renale ([xv]).
Per quanto
riguarda il fegato invece, sono stati stimati valori, al di là dei quali l’assunzione
di proteine potrebbe essere eccessiva e determinare quindi effetti tossici,
riassumibili nei sintomi della cosiddetta fame da coniglio, (nausea diarrea e
in casi estremi morte) così chiamata dai primi esploratori del nord America,
che erano costretti a cibarsi quasi esclusivamente di carne magra.
La ragione di
tutto ciò è determinata dal limite epatico nella sintesi di urea,
corrispondente all’assunzione di circa 2.6-3.6 g di proteine per kg di
peso corporeo al giorno ([xvi]).
Come nel caso
dei primi pionieri del nord America, se
ci si alimentasse esclusivamente con carni magre, si potrebbe andare oltre alle capacità epatiche di
eliminare azoto e quindi incorrere nei sintomi precedentemente descritti.
BIBLIOGRAFIA
([i]) William J. Evans, Protein Nutrition, Exercise and Aging,
Journal of the American
College of Nutrition,
2004 pag 601S
([ii]) Donald K. Layman, Protein Quantity and
Quality at Levels above the RDA Improves Adult Weight Loss, Journal of the
American College of Nutrition, Vol. 23, No. 6, 631S–636S (2004),pag. 631
([iii]) Nancy F. Krebs et al., Efficacy and Safety of a High Protein, Low Carbohydrate
Diet for Weight Loss in Severely Obese Adolescents, Pediatr. 2010 ; 157(2): pag
7
([iv]) Jönsson et
al., A paleolithic diet is more satiating per calorie than a
mediterranean-like diet in individuals with ischemic heart disease, Nutrition
& Metabolism 2010, p.9
([v]) Czajkowska A, Lutosławska G, Mazurek K,
Ambroszkiewicz J., Plasma homocysteine level and selected dietary habits in
young healthy men, Rocz Panstw Zakl Hig. 2009;60(1):85-9.
([vi]) Czajkowska A, Lutosławska G, Mazurek K,
Ambroszkiewicz J, Zmijewski P., Plasma homocysteine levels, physical activity
and macronutrient intake in young healthy men, Pediatr Endocrinol Diabetes
Metab. 2011;17(1):30-4
([vii]) L. Cordain et al. , The paradoxical nature of hunter-gatherer diets:
meat-based, yet non-atherogenic European
Journal of Clinical Nutrition 2002, pag .46
([viii]) Tavani A, La Vecchia C, Gallus S,
Lagiou P, Trichopoulos D, Levi F, Negri E. Red meat intake and cancer risk: a
study in Italy. Int J Cancer. 2000 May 1;86(3):425-8
([ix]) Amanda J. Cross, Leah M. Ferrucci, Adam
Risch, et al, A Large Prospective Study of Meat Consumption and Colorectal
Cancer Risk: An Investigation of Potential Mechanisms Underlying this
Association, Cancer. 2010, pag 2406
([x]) Ferrucci et
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([xi]) S. Rohrmann et al , Cooking of meat and fish in Europe,
European Journal of Clinical Nutrition
2002, pag 1228
([xii]) Beasley JM, Aragaki AK, LaCroix AZ, Neuhouser
ML, Tinker LF, Cauley JA, Ensrud KE, Jackson RD, Prentice RL. Higher
biomarker-calibrated protein intake is not associated with impaired renal
function in postmenopausal women. J
Nutr. 2011 1502-7.
([xiii]) Skov AR, Toubro S, Bülow J, Krabbe K, Parving
HH, Astrup A. Changes in renal function during weight loss induced by high vs
low-protein low-fat diets in overweight subjects. Int J Obes Relat Metab
Disord. 1999 ; 1170-7
([xiv]) Brinkworth GD, Buckley JD, Noakes M, Clifton
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Am Diet Assoc. 2010 Apr;110(4):633-8.
([xv]) Gin H, Rigalleau V, Aparicio M. Lipids,
protein intake, and diabetic nephropathy. Diabetes Metab. 2000,pag 45-53.
([xvi]) Loren Cordain, Janette Brand Miller, S Boyd
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Am J Clin Nutr 2000;688-689
([xvii)]Cordain L, Watkins BA, Florant GL, Kelher M, Rogers L, Li Y. Fatty acid analysis of wild ruminant tissues: evolutionary implications for reducing diet-related chronic disease. Eur J Clin Nutr.2002;56:181-191.
([xvii)]Cordain L, Watkins BA, Florant GL, Kelher M, Rogers L, Li Y. Fatty acid analysis of wild ruminant tissues: evolutionary implications for reducing diet-related chronic disease. Eur J Clin Nutr.2002;56:181-191.
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